Sport: strumento universale per lo sviluppo e la pace

Allo sport si tende unanimemente a conferire una valenza pedagogica particolare, ritenendolo “componente essenziale della nostra società” , capace di trasmettere “tutte le regole fondamentali della vita sociale”  e portatore di valori educativi fondamentali quali “tolleranza, spirito di squadra, lealtà”.  Lo affermano con vigore i documenti dell’Anno Internazionale dello Sport e dell’Educazione Fisica, promosso dall’ONU.

E’ noto però a tutti che, anche se lo sport sembra risolvere dei problemi, esso stesso non ne è privo, e va coltivando in sé pericolose ed incontrollte tendenze che ne inquinano il valore: la quotidianizzazione, l’eccessiva spettacolarizzazione, la violenza, il doping. Oltre al rischio di soggiacere, se non addirittura di contribuire, alla idolatria ed alla mercificazione del corpo
Lo sport valorizza il corpo, un aspetto che non significa necessariamente un suo appiattimento materialistico, ma la cui corretta collocazione va tenuta presente ai fini dell’educazione dell’io personale e del noi comunitario.
Il corpo non è un oggetto, bensì un soggetto, una persona. “L’uomo non è un frammento di ‘corporeità’ – scriveva efficacemente il Cardinale Danneels di Bruxelles -, abitato per un momento da una scintilla spirituale. Egli è innanzi tutto spirito, persona unica e libera ed è tramite il corpo che il suo spirito si apre ad un cammino nella materia e nella storia. L’anima non viene ad abitare una casa preesistente, essa “intesse” la sua “corporeità” a partire dalla materia. Così il corpo umano diventa l’esteriorizzazione dell’anima. Una cosa del tutto diversa da un abito che si indossi” .

L’educazione del corpo implica favorire che la corporeità sia in grado di mostrare e di accendere lo spirito. Ma quando lo sport è in grado di accendere lo spirito? Quando è capace di conferire a chi lo pratica padronanza di sé, dei suoi atti, meta questa sempre in divenire, e quando è capace di colorare l’azione dell’atleta di tensione morale, ovvero di lealtà, di generosità, di abnegazione, di solidarietà, di coraggio, di disciplina, di senso di responsabilità, di fair-play, di sano orientamento estetico, di apprezzamento della natura, della vita e dei valori spirituali.
Ci si può chiedere se lo sport educhi automaticamente alla socialità, se contribuisca sostanzialmente allo sviluppo integrale della persona quali che siano le modalità con cui si pratichi e gli scopi che si intendano perseguire.
“Come altre attività umane lo sport è poliforme ed ambivalente: è liberazione di energie psicofisiche latenti, ma anche asservimento agli idoli del prestigio e del guadagno; è dono di sé, ma anche occasione di egoismo e di sopraffazione; è luogo di incontro, ma anche di scontro” . Lo sport, anche lo sport, esprime bisogni – amore, libertà, creatività, autonomia, giustizia, felicità e così via – che formano il mistero profondo dell’uomo.
Lo sport è in sostanza ben altro che semplice divertimento o faticoso confronto alla ricerca di una vittoria: è invece un tempo privilegiato di conoscenza di se stessi e degli altri, di convivenza con essi, ed anche di apertura ad una visione integrale dell’uomo. Ma non basta tenerne conto: è necessario portare a livello di coscienza lo spessore umano e spirituale e favorirne la realizzazione, consapevoli che poche altre attività umane possono vantare una ricchezza di contenuti come quella sportiva: creatività, coraggio, solidarietà, entusiasmo, forza, rispetto delle regole e degli altri, attività sociale, lavoro di gruppo, ricerca di qualità, festa, amicizia, gioia di vivere e così via.

Le espressioni di crisi dello sport di oggi evidenziano che l’azione sociale educativa non può limitarsi a richiamare alla coscienza dei praticanti astratti valori e principi etici: evidentemente né una generica ideologia pansportiva, né un sempre più disatteso fair play di facciata, possono rivelare all’uomo, attraverso lo sport, il significato ed il fine ultimo della propria esistenza.
Con l’attenzione ai valori più alti dell’esistenza umana, lo sport rivela la dimensione essenziale dell’uomo sia come essere “finito” (sconfitta, infortuni, incapacità di altruismo o ad accettare un verdetto negativo) sia come essere “in-finito”, capace di risorgere in ogni tentativo di superare i propri limiti. Non si tratta in sostanza di aggiungere nuovi contenuti allo sport, ma di evidenziarli e collocarli nella giusta direzione.
Non si tratta di condannare o di sfuggire dallo sport di oggi, dalle sue contraddizioni, dalle sue disperate corse verso l’onnipotenza o l’immortalità, dalla sua schiavitù al denaro. L’uomo è competizione, è vittoria e sconfitta, è tensione alla perfezione e abisso di incertezze e come tale vuole essere accettato, capito, amato. E’ una sfida ambiziosa quella di farsi uno, accettandolo senza riserve, non tanto con lo sport di oggi, quanto piuttosto con chi lo pratica, contribuendo ad instillare silenziosamente e con pazienza germi di positivo.
De Coubertin, padre delle moderne olimpiadi, attribuiva all’atletismo la capacità di introdurre tre caratteri nuovi e vitali nelle vicende del mondo: democrazia, internazionalità, pacifismo .
Mentre la storia sportiva moderna cerca con difficoltà di aprire gli orizzonti all’incontro fra i popoli ed alla pace, viene da chiedersi se l’unità della famiglia umana sia un’utopia lontana. Uno sguardo attento scorge che il nostro pianeta, pur fra mille contraddizioni, tende all’unità, segno e bisogno dei tempi. Sembra un progetto utopico, ma l’educazione alla mondialità, alla fraternità, possibile anche grazie allo sport, in tale prospettiva, è mezzo primario. Quando crediamo alla dimensione relazionale dell’uomo ed investiamo con larghezza sulle ricchezze dell’altro, la meta pare più accessibile: in un’ottica di fraternità, per non dire di amore reciproco, sperimentiamo una socialità più autentica, una dinamica di relazione in cui sembra attuarsi una sintesi meravigliosa tra l’istanza pedagogica dell’educazione dell’individuo e l’istanza pedagogica della costruzione della comunità. Una prospettiva di questo tipo trova diverse consonanze con le forme di pedagogia di comunità di recente sviluppo, in cui viene proclamata la necessità di coniugare la promozione dell’individuo con la promozione della comunità. Ma non è solo questo. “La finalità da sempre assegnata all’educazione (formare l’uomo, la sua autonomia) si esplica, quasi paradossalmente, nel formare l’uomo – relazione: la prassi spirituale ed educativa dell’amore reciproco è la via maestra alla costruzione dell’utopia – realtà dell’unità”  .

E lo sport è affidabile ed esigente campo di sperimentazione della nostra reale capacità e volontà di relazione. La sua valenza aggregante e propositiva è riconosciuta.  De Coubertin era arrivato ad affermare che “La prima caratteristica dello spirito olimpionico antico come di quello moderno è quella di essere una religione” . Lo sport non può divenire la nuova religione planetaria che unirà il mondo, ma esso può rivelare e ricreare risorse forse insostituibili per la costruzione di un mondo unito.
Chiediamoci dunque: e se fosse la fraternità, e non lo scontro di civiltà, come profetizzato in modo pericoloso da Samuel Huntington, la via d’uscita dallo stato di terrore e di ansia nel quale viviamo? E se la fraternità e non la guerra fosse sinonimo di sicurezza? E se la fraternità, come metodo e contenuto delle relazioni tra singoli, gruppi, culture e fedi, fosse il punto di partenza e l’orizzonte per connotare la incontestabile realtà di interdipendenza nella quale viviamo?
Freud sosteneva che gli uomini hanno barattato un po’ di felicità in cambio di un po’ di sicurezza: di fronte al crescente bisogno di sicurezza cosa può offrire il paradigma della fraternità?
Nella definizione accettata dagli organismi internazionali, la sicurezza è la capacità di individuare, evitare, o almeno mitigare, l’attuazione di minacce. Come ci ricorda però il premio Nobel per l’economia Amartya Sen, sicurezza è anche libertà di potere scegliere la propria educazione, i propri servizi sociali e sanitari, le proprie risorse economiche. E noi aggiungiamo: la libertà di esprimere la propria corporeità e la libertà di confrontarsi, con se stessi e con gli altri, offerte dall’attività motoria e dallo sport.
La sicurezza non si sposa con logiche militaristiche, ma piuttosto con politiche che incoraggiano e sostengono lo sviluppo umano. Sicurezza e sviluppo vanno a braccetto. La loro relazione è di reciprocità: i due termini si rinforzano o si escludono a vicenda. Si tratta di spezzare il circolo di terrore e di paura, per riannodare legami, rapporti, dando vita a una rete di relazioni, espressioni di una società civile composta di cittadini di tutto il mondo che con un occhio guardano al locale, e con l’altro guardano al globale. Il rischio del disimpegno, del calo di ogni responsabilità, del venir meno di una coscienza pubblica, della dispersione, è reale. In quest’ottica diritti umani e bene comune non sono un sottoprodotto del libero mercato e del libero scambio.
Nella logica della fraternità, il bene comune e i diritti umani sono invece il centro ispiratore, il punto di partenza ed il punto di arrivo, di politiche economiche e sociali. La tensione tra questi due modi di concepire il bene comune e i diritti umani è oggi molto acceso all’interno delle organizzazioni internazionali.

La fraternità, vissuta nella società e quindi anche nello sport, è flessibilità che si contrappone alla rigidità, è inclusione e non esclusione, è dialogo e non monologo, è integrazione e non indipendenza. Essa promuove l’impegno e scarta il disimpegno e la passività: è presa di responsabilità ed evita la superficialità. Nel complesso intreccio di culture e di lingue che oggi, specie nelle realtà urbane, si giustappongono e si contaminano a vicenda, la fraternità non è semplice traduzione, ma familiarizzazione con l’altro. E sappiamo quante occasioni offra lo sport in questo senso.
La fraternità, dunque, reclama il rispetto universale e la reciprocità egualitaria. La fraternità è una deviazione dal ripiegamento individuale, nazionale, culturale e religioso su se stessi, per un movimento verso un rispetto universale e la reciprocità egualitaria, che esige poi di maturare e di sbocciare in un contesto di dialogo e di comunione, dove la diversità non è minaccia, ma risorsa. Dove il conflitto non è più un problema, ma un’opportunità.
“E’ la fraternità che può dare oggi contenuti nuovi alla realtà della interdipendenza – scriveva Chiara Lubich, presidente del Movimento dei Focolari cui si ispira New Humanity, nel suo messaggio alla prima giornata mondiale dell’interdipendenza tenutasi a Filadelfia nel settembre 2003 -. E’ la fraternità che può far fiorire progetti ed azioni nel complesso tessuto politico, economico, culturale e sociale del nostro mondo. E’ la fraternità che fa uscire dall’isolamento ed apre la porta allo sviluppo dei popoli che ne sono ancora esclusi. E’ la fraternità che indica come risolvere pacificamente i dissidi e che relega la guerra ai libri di storia. E’ per la fraternità vissuta che si può sognare e persino sperare in una qualche comunione dei beni fra Paesi ricchi e poveri, dato che lo scandaloso squilibrio, oggi esistente nel mondo, è una delle cause principali del terrorismo. Il profondo bisogno di pace che l’umanità oggi esprime, dice che la fraternità non è solo un valore, non è solo un metodo, ma un paradigma globale di sviluppo politico. Ecco perché un mondo sempre più interdipendente ha bisogno di politici, di imprenditori, di intellettuali, di artisti (ed aggiungiamo di sportivi) che pongano la fraternità, strumento di unità, al centro del loro agire e del loro pensare”.
Nella prospettiva di contribuire a formare oggi un cittadino globale, cosciente della realtà dell’interdipendenza che lo circonda, e che con le sue virtù civiche sia in grado di costruire una società civile globale capace di limitare gli estremismi del fanatismo religioso ed etnico da una parte, e quelli dello sfrenato capitalismo dall’altra, lo sport potrebbe avere un ruolo non secondario. Sportmeet ne vuole dare testimonianza, incoraggiando, sviluppando e diffondendo buone pratiche. Alcune di queste vi saranno proposte anche oggi.

di Paolo Crepaz, medico dello sport e giornalista sportivo, già coordinatore di Sportmeet, Trento, Italia