Testimonianza di Stefano Crepaz

Stefano Crepaz
laureato in scienze dello sport, master in personal trainer ed in preparazione atletica del calcio, preparatore atletico nel calcio ed allenatore del settore giovanile.

 

Stefano CrepazIl calcio giovanile è oggi un ambiente sul quale si riversano attenzioni ed aspettative a volte sproporzionate: cosa spinge i ragazzi a giocare a pallone?
I ragazzi si avvicinano al calcio perché è lo sport più diffuso al mondo e per il bisogno-desiderio di fare sport insieme agli amici, e se ne allontanano, in gran parte, intorno ai 16-17 anni perché non diventano giocatori di Serie A e trovano altre cose più interessanti da fare.
Allora, secondo me, l’allenatore ha, insieme ai compiti e ruoli che deve svolgere, anche il dovere di far divertire il ragazzo e inserire nell’insegnamento del gioco del calcio elementi utili per la loro vita provando a conciliare il risultato della Domenica con la crescita settimanale, mensile e annuale del ragazzo in campo e fuori. L’allenatore da le linee guida e con estrema coerenza deve portare avanti la sua idea di allenatore. ESTREMA COERENZA perché i ragazzi riconoscono se siamo quello che diciamo e se la domenica ci trasformiamo in nome del risultato a tutti i costi o seguiamo anche nella ricerca della vittoria sul campo le linee guida date durante la settimana.
La credibilità di quello che diciamo loro va conquistata con il tempo e tramite piccoli particolari, come il dirigere gli allenamenti e guidare la partita dalla panchina prendendo l’acqua come i giocatori e non sotto l’ombrello o sotto la panchina, o la regola di non rinviare mai gli allenamenti per maltempo con la possibilità di fare allenamento anche dentro uno spogliatoio o sotto la neve.

Sembra che l’unico obiettivo a cui tendere debba essere la vittoria e la vittoria a tutti i costi. Da 7 anni lavori nel contesto del calcio giovanile: qual è l’obiettivo che ti sei posto?
Credo che sia importante non prendere in giro i ragazzi. La vittoria, non è un mostro innominabile nei settori giovanili, anche perchè è l’elemento per cui i ragazzi si allenano e vanno in campo la Domenica ed è giusto così se si parla di sport, altrimenti faremmo ricreazione a scuola.
La variabile su cui dobbiamo lavorare, invece, è il “come” si vuole far arrivare i ragazzi alla vittoria. Ogni allenatore sceglie ciò a cui va dato peso e ciò che è importante per la crescita del ragazzo con il suo atteggiamento e con le sue parole, arrabbiandosi o valorizzando un atteggiamento o un altro. Tanti particolari e tanti atteggiamenti fanno la differenza nella percezione del ragazzo della vittoria e della sconfitta.
Un particolare che ho scelto per i miei ragazzi è il fatto di non fischiare mai i falli durante le partite di allenamento. Questo porta i ragazzi a non simulare, a non mollare facilmente, a lottare in modo sempre attivo alla conquista del pallone e soprattutto a non trovare scuse esterne al proprio impegno totale nell’arrivo di risultati positivi e negativi.

Tutti, a parole, sono d’accordo che il calcio, come tutti gli altri sport, debba essere, a livello giovanile, un’esperienza educativa, ma i fatti, spesso, smentiscono questa realtà. Quali sono, nella tua esperienza, gli ingredienti, gli elementi, le situazioni che permettono di far vivere ai ragazzi un’esperienza sportiva importante per la loro vita?

Sentirsi unici detentori dell’educazione dei ragazzi non è giusto e veritiero. Noi abbiamo i ragazzi al campo 6-8 ore alla settimana, quindi diventa fondamentale la collaborazione con le altre figure educative dei ragazzi, genitori in primis e perché no insegnanti della scuola dei ragazzi e catechisti. Io da 3 anni raccolgo le pagelle dei ragazzi che alleno e vedo con loro e i genitori se ci sono situazioni da recuperare e se necessario il ragazzo svolge un allenamento in meno durante la settimana o per un periodo non viene al campo per recuperare a scuola. Anche questo è uno degli elementi in cui dobbiamo focalizzare l’attenzione per far rendere conto ai ragazzi delle priorità e per fargli godere ancora di più delle ore al campo.
Altro elemento importante secondo la mia esperienza è l’aspetto mentale. Va curato durante la settimana e soprattutto prima delle partite: i ragazzi devono essere mentalmente pronti e tranquilli e lo sono in modo diverso personalmente. C’è chi va svegliato e accompagnato al match e ci va calmato e rassicurato. Per fare questo è fondamentale conoscere i ragazzi a fondo e avere con loro un rapporto vero, coerente ed individualizzato per far entrare in campo il ragazzo mentalmente pronto per sfruttare al massimo le proprie potenzialità.

Immaginiamo che viva ogni giorno, con i ragazzi, situazioni difficili e situazioni divertenti: ci racconti qualcosa del tuo lavoro quotidiano? qualche esperienza che ti ha toccato particolarmente?
Ho vissuto tanti piccoli episodi che mi hanno fatto andare avanti e convinto che questo è il lavoro più bello del mondo.
Un giorno un ragazzo mi ha confidato che non riusciva ad esprimere tutto il suo potenziale e che si sentiva giudicato e sembra in difetto rispetto alle aspettative che sentiva. Io gli ho solo detto di tornare a divertirsi cosa che non stava facendo in quel periodo e tornare a giocare per la squadra cosa che non faceva più da quando aveva fatto un provino per una squadra professionista. Lui mi ha ringraziato e ha fatto una prestazione mostruosa il mattino dopo e abbiamo vinto 6-0 contro una squadra a pari punti anche grazi ad una sua doppietta.
Un altro episodio che mi ha convinto che il “come” fa la differenza è la storia di un ragazzo che l’anno prima aveva vinto il campionato giovanissimi e nonostante questo, voleva smettere perché aveva perso il divertimento e percepiva troppa pressione inutile per una partita di calcio che lui viveva con serietà, ma non sentiva il bisogno di caricarla così tanto di pressione come faceva il suo precedente allenatore. Ha ritrovato gli stimoli giusti ed è calcisticamente esploso, ed è inoltre ora seguito da vicino da un club professionistico.
Un altro episodio che mi ha riportato al ruolo di allenatore-educatore fondamentale per le squadre non professionistiche è il dialogo quasi surreale avuto con un genitore che entusiasta mi ha detto: “Mio figlio è scarso e lo sa, non diventerà mai un calciatore, ma con te si diverte un mondo quindi ha deciso di continuare a venire al campo a giocare a calcio!”